Nessun miracolo a Bari: la Popolare è ancora un problema

Fabio Bolognini
6 min readDec 27, 2021

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Due anni dopo la costosa ricapitalizzazione e le promesse di rilancio dell’istituto di credito pugliese non si vedono ancora risultati apprezzabili

Sono trascorsi due anni dalla scrittura per divertimento di un articolo poco serio sulla trasformazione annunciata della Banca Popolare di Bari («Esperimenti bancari paranormali») e -come suggerivo nella chiusura del pezzo- è arrivata la scadenza della revisione per vedere cosa è successo dopo l’intervento salvifico del FITD, dello Stato e del Mediocredito Centrale.

Due anni dopo si può dire che nulla di quanto promesso e ipotizzato nell’audizione alla Camera si sia avverato. La Banca del Sud per il Sud non è decollata. Era il 9 gennaio 2020 quando il Fatto Quotidiano scriveva:

Il nuovo piano industriale della Banca Popolare di Bari consentirà di «rafforzare» l’istituto barese coinvolto in una difficile crisi, scoppiata nelle ultime settimane con il commissariamento di BpB. Ad affermarlo è uno dei commissari straordinari della Popolare di Bari, Antonio Blandini, nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati sul decreto per il salvataggio della Banca. Lo riporta l’agenzia Dire che cita Milano Finanza.

Nonostante i pesanti sacrifici del sistema bancario, che si è tassato attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi con ben 1.170 milioni e dello Stato, attraverso il Mediocredito Centrale che ha contribuito con altri 430 milioni (rilevando nel maggio 2020 la quota FITD e diventando socio al 97%), per un totale di 1,6 miliardi di buco da coprire, il miracolo non è ancora avvenuto. La Banca Popolare di Bari, inglobata nel gruppo Mediocredito, perde ancora, ha rapporti di efficienza (cost/income al 155%) che non garantiscono alcuna continuità e… non è diventata la banca d’investimento motore dello sviluppo del Mezzogiorno come aveva promesso.

A settembre in audizione (i bilanci non sono più pubblici dal commissariamento) ha mostrato conti semestrali 2021 ancora in perdita e pesanti rettifiche sui crediti, come raccontava il 30/9 sempre il Fatto Quotidiano:

La Popolare di Bari affossa i conti di Mediocredito Centrale (Mcc), società guidata da Bernardo Mattarella, che fa capo al ministero del Tesoro attraverso Invitalia e a cui è stata affidata la banca pugliese sull’orlo della bancarotta. Il bilancio del gruppo Mcc relativo ai primi 6 mesi del 2021 si è chiuso con una perdita di 48 milioni di euro, a fronte dei 16 milioni di utile con cui si era chiuso lo stesso periodo del 2020. La Popolare di Bari, di cui Mcc controlla il 97%, ha archiviato la prima metà dell’anno con un rosso di 101 milioni. La perdita è stata parzialmente compensata con le altre attività del Mediocredito che ha come missione primaria il finanziamento delle attività produttive nel Mezzogiorno. In particolare la sola Mcc ha chiuso i sei mesi con profitti per 40 milioni. Il gruppo ha inoltre iscritto nel semestre rettifiche di valore nette per rischio di credito pari a 63 milioni, “volte a garantire livelli di copertura del portafoglio creditizio più che in linea con i peers di settore”. In sostanza la società ha preso atto del reale valore dei finanziamenti di difficile esigibilità che ha erogato. Le spese amministrative sono pari a 211 milioni, di cui 149 milioni relativi al costo del lavoro, inclusivo dell’ accantonamento una tantum stanziato da Banca Popolare di Bari, per circa 53 milioni, a fronte dell’adesione al Piano di incentivazione all’esodo”.

Per un veloce confronto sui risultati nel bilancio semestrale si può verificare come nel bilancio consolidato Popolare Bari nel 2019 le commissioni nette fossero di 65,6 milioni contro i 49,3 milioni nel 2021, dimezzate rispetto alla semestrale 2018. I costi di personale sono indicati a 124 milioni contro i 100 milioni del 2019 per 2987 dipendenti, un aumento che si spiega in parte con i costi una tantum per il fondo esuberi.

E ora, giusto prima di Natale, esplode la crisi manageriale con le dimissioni dell’AD prescelto dai nuovi azionisti, Giampiero Bergami, in probabile dissenso sulle strategie scelte dalla capogruppo per uscire dalla palude. Nell’articolo di Start Magazine del 4 novembre scorso la prospettiva dell’AD era riassunta nei suoi virgolettati:

PROIEZIONE SU FINE ANNO. Quanto alla proiezione su fine anno ha chiarito: “Vediamo e registriamo un ritardo nella riattivazione della macchina commerciale, rispetto a quello che avremmo voluto portare a casa, mentre sulle altre dinamiche, quelle di costo, tra personale, spese amministrative e costo del credito, per il momento la proiezione è allineata alle aspettative”.

CONFRONTO CON LA CAPOGRUPPO MCC PER OPERAZIONE DI RILANCIO – Bergami ha ricordato, come “eredità al 31 dicembre 2020” lo “squilibrio molto forte in termini di costi e ricavi”. E, ha affermato: “Il nostro compito primario è quello di riportare l’azienda in equilibrio, nella consapevolezza, oggi supportata da un anno di esperienza e conoscenza della banca, di alcune marcate e diffuse fragilità e della macchina operativa e del business”. L’ad ha quindi concluso che è in atto il confronto “con la capogruppo Mediocredito centrale per capire meglio se ci sono interventi strutturali da effettuare per rendere sostenibile questa operazione di rilancio”.

Le difficoltà del piano di rilancio traspaiono nell’articolo de il Giornale del 14 dicembre che spiega perché l’amministratore delegato alzi bandiera bianca dopo poco più di un anno:

Bergami era giunto alla guida dell’istituto barese nell’ottobre del 2020 dopo una lunga carriera trascorsa prevalentemente in Monte dei Paschi e in Unicredit, gruppi nei quali aveva rivestito posizioni apicali nella divisione Corporate. In un’audizione alla commissione Banche dello scorso novembre Bergami aveva ribadito come Mcc avesse «ereditato una banca che si è allontanata dal mercato per 10 anni», con un rapporto cost/income al 155,5 per cento e un debito da 1,5 miliardi di euro generato dalle perdite su crediti.

I fatti ci dicono che né Mediocredito né bancari esperti, prelevati e innestati nella disastrata banca pugliese (non soltanto Bergami), sono riusciti in due anni a raddrizzare la barca, né a venire a capo di come farlo in futuro. A mio giudizio era poco chiaro sino dall’inizio e tantomeno oggi. Il tutto sotto gli occhi preoccupati dei sindacati bancari, che prima hanno temuto interventi drastici di riduzione dei dipendenti e oggi si trovano a contestare le ultime scelte manageriali per il mancato rilancio e cominciando a pensare mestamente che la svolta non avverrà mai.

La scelta di Carrus però non convince né una parte dei sindacati né le associazioni dei consumatori. Antonio Pinto, presidente di Confconsumatori, mette subito in chiaro quali sono i temi urgenti da affrontare: «Chiederemo un incontro al più presto con il nuovo amministratore delegato. Vogliamo capire se ha intenzione di cambiare rotta nel rapporto con gli azionisti e se vuole accettare un tavolo di conciliazione serio».

Ancora più netto il commento di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, Federazione autonoma bancari italiani: «Carrus rappresenta l’ultima spiaggia. La banca deve essere definitivamente rilanciata e valorizzata per quello che merita perché ha un parco clienti di prima qualità e di lavoratori che stanno pagando economicamente per poterla in qualche modo rilanciare. Se anche Carrus dovesse fallire è chiaro che tutto il progetto della Banca del Sud, che per come stanno le cose oggi è quasi un miraggio, verrebbe definitivamente accantonato. Ci deve essere una perfetta sintonia questa volta tra Mediocredito e Popolare di Bari». (fonte: la Repubblica Bari, 13 dicembre 2021)

Tirando le somme il progetto di rilancio della Popolare Bari è sino ad oggi fallito: risultati ancora negativi, crediti inesigibili che affiorano da tutte le parti, management disorientato, nessuna aggregazione di istituti del Sud nonostante ghiotte facilitazioni fiscali messe sul tavolo dallo Stato.

Quando una banca si inclina perché ha imbarcato troppa acqua, è pressoché impossibile riportarla in linea di galleggiamento

È una nuova conferma di quanto sostenuto da sempre da chi scrive: quando una banca si inclina perché ha imbarcato troppa acqua dalle falle (sia l’eccesso di NPL o operazioni non trasparenti sul capitale) è pressoché impossibile riportarla in linea di galleggiamento. Incalcolabile il peso della svalutazione del patrimonio intangibile di fiducia e reputazione, che per una banca è il valore n.1. Non troppo incoraggianti le considerazioni fatte nella circostanza dell’uscita di Bergami dall’amministratore del Mediocredito Centrale Bernardo Mattarella:

«Sicuramente è finita una fase complicata in cui la banca ha avuto bisogno di focalizzarsi e iniziare a ristrutturarsi. Se ne apre una nuova orientata da parte nostra verso un interesse che e l’unico che abbiamo e abbiamo sempre avuto, che è quello di restituire al territorio una realtà sana, trasparente e in grado di generare valore per gli stakeholder. Questo è l’unico faro che ci ha guidato e che sempre ci guiderà».

Parole di circostanza che, in sostanza, non aprono squarci su come sia possibile velocemente raddrizzare quel cost/income al 155%.

Diamo tempo al tempo, sediamoci ad osservare per il bene del territorio.

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Fabio Bolognini

ex-banker, helping small business to understand that finance, credit and banks are seldom the key to success. @linkerbiz Milan